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Ieri sera sono andato a vedere lo spettacolo di Andrea Scanzi e Giulio Casale.

Mi piace Scanzi. Molto più da teatrante che da giornalista, non fosse per altro che su un articolo di giornale o di un blog è sempre più difficile trasmettere il patos e l’enfasi che Scanzi mette quando parla di argomenti a lui cari.

E forse è anche questo l’unico motivo che mi ha spinto ad andare a vedere il suo spettacolo, cercare quel patos che non riesco a trovare tra i suoi articoli, anche perchè i suoi argomenti sono a me ben noti essendo un suo fedele lettore.

Da bugiardino del teatro leggo incuriosito:
“In questo “Il sogno di un’Italia”, dal sottotitolo dolentemente jannacciano (“Vent’anni senza andare mai a tempo”), c’è la politica che non riesce più a generare appartenenza e c’è l’arte – musica, cinema, letteratura, giornalismo – che diventa fatalmente politica e dunque forse militanza. E’ uno spettacolo che racconta vent’anni d’Italia con spirito critico, conservando però il desiderio di una vera ripartenza. Un tempo “ragazzi selvaggi”, ma solo nelle canzonacce dei Duran Duran, i quarantenni di oggi – la generazione di Casale e Scanzi – sognavano il cambiamento e si sono ritrovati prima Berlusconi e poi Renzi. Volevano la rivoluzione, ma solo nelle t-shirt. Cercavano un nuovo centro di gravità permanente, ma – per ignavia o quieto vivere – rischiano di avere inguaiato l’Italia.”

Bene andiamo a vedere questo sogno.

Tutto è basato su una serie di taglia e cuci del ventennio anni 70-80. Continui flashback di Scanzi che ci fa notare come in quegli anni abbiamo perso per un motivo o per un altro tanti punti di riferimento. E non siamo stati in grado di sostituirli con idoli altrettanto validi e siamo andati a cercarli altrove.
Da don’t stop me now siamo passati a vamos a la playa, da Troisi a gerry calà, e, inutile dirlo, da Berlinguer e Moro allo squallore odierno.

Questi flashback sono interrotti dalle improvvisazioni di Casale (cazzo quanto è bravo) che canta come Gaber e balla come Prince :). E ci ricorda momenti importanti facendoci toccare con mano discorsi, canzoni e spezzoni di cinema nostalgici.

Ecco la nostalgia. Troppa nostalgia. A prima botta questo spettacolo sembra l’ennesima oeprazione nostalgia di Scanzi da vecchio bisbetico
” eeeeeeeee ma il pop è finito con Prince”
” eeeeeeeee ma dopo Berlinguer solo la merda”
” eeeeeeeee ma dopo Queen più il nulla”
Si è vero… dice questo, e probabilmente ha ragione. Ma non è il classico atteggiamento da umarell rimbambito nostalgico e acido. Non è neanche un monito per una speranza futura (cita Monicelli e il suo dialogo sulla speranza intesa come TRAPPOLA).
È un invito. Un invito a non commettere gli stessi errori. A valutare bene chi e cosa sostituiamo perchè tutti dai cantanti ai politici agli attori sono importanti per la società civile. È un insegnamento da chi quegli anni li ha vissuti e ha fatto la cazzata di  non preoccuparsi dove la sua generazione stesse andando.
errare humanum est perseverare autem diabolicum et Gerry Calà fa cagare.

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